Scuola: la difficile scelta. i dati emersi dalle iscrizioni 2018 premiano nuovamente i licei, in attesa della riforma degli istituti professionali

Anche quest’anno la scelta delle scuole secondarie di secondo grado non è stata facile e tanti studenti insieme alle loro famiglie hanno affrontato questo delicato passaggio della vita, tentando di individuare bene il primo importante tassello su cui costruire il proprio percorso di sviluppo di una carriera formativa e professionale. I primi dati sulle iscrizioni scolastiche del 2018 indicano che la maggior parte (55,3%) degli studenti ha scelto i Licei, mentre un terzo circa (30,7%) ha deciso di iscriversi ad un Istituto Tecnico. Solo il 14% invece ha optato per un Istituto Professionale. 

Tante sono, come sempre, le variabili in gioco e, sul piatto della bilancia, pesano anche aspetti personali e sociali, quali la storia familiare, i contesti di appartenenza, interessi e abilità personali, le relazioni amicali e le caratteristiche dell’offerta scolastica territoriale. Sembra tuttavia che ancora rimanga molto sfumata la relazione tra la scelta effettuata e la consapevolezza degli studenti rispetto all’esito di tale scelta, ovvero la meta molto diversa in termini di conoscenze e competenze e di percorsi di carriera formativa e professionale che ogni scuola propone (che in realtà è già molto evidente).

Ma proviamo a riflettere meglio su questi numeri.

 All’interno di questo quadro complesso di elementi per la scelta, per l’anno scolastico 2018/2019, gli indirizzi liceali sono ancora i preferiti dagli studenti italiani e, tra questi, il liceo scientifico è l’indirizzo di studio più popolare. Si tratta di una scelta che esprime già la motivazione da parte degli studenti di accedere a futuri percorsi di alta formazione di tipo universitario, ma anche l’idea di poter posticipare di qualche anno una scelta di campo che appare ragionevolmente prematura per molti adolescenti, che spesso non hanno mai elaborato una vera riflessione sulla propria scelta professionale. 

Quasi la metà degli studenti italiani (44,7%) ha invece deciso di iscriversi a un percorso quinquennale di istruzione tecnica o professionale, esplicitando quindi un interesse specifico per un settore economico, una professione o specifiche mansioni professionali. Di questi, il 30.7% ha scelto un Istituto Tecnico, mentre il 14.0% ha deciso di intraprendere un percorso di apprendimento già molto legato all’attività pratica e ad uno specifico ambito professionale, iscrivendosi ad un Istituto Professionale. Da segnalare che le iscrizioni ai tecnici sono in leggero aumento rispetto all’anno scorso (30.3%), mentre quelle agli istituti professionali registrano una piccola flessione (15.1% nel 2017). 

Su questa riflessione e, in particolare, sulla rilevanza (in molti casi pesante) del contesto economico di riferimento rispetto alle scelte scolastiche delle ragazze e dei ragazzi, si sono spese molte parole quest’anno, anche in risposta alla lettera del presidente di Confindustria di Cuneo, Mauro Gola, indirizzata alle famiglie in procinto di scegliere la futura scuola dei figli. Nella lettera, Confindustria invitava i genitori a considerare le consistenti opportunità occupazionali presenti sul territorio per futuri diplomati nei percorsi tecnici e professionali. Il Centro Studi di Confindustria di Cuneo riporta che, dei 40.360 assunti l’anno scorso, oltre la metà ha un diploma professionale. La lettera di Confindustria ha dato vita a un grande dibattito sul ruolo che i dati occupazionali all’oggi possono giocare nelle scelte e tanti hanno risposto sottolineando, per esempio, l’importanza di percorsi di formazione permanenti e l’imprevedibilità delle previsioni di mercato per gli anni a venire.

In relazione a questo tema, qualche giorno fa, la Fondazione Agnelli ha pubblicato per la prima volta un’indagine nazionale di tipo censuario che ha investigato gli esiti occupazionali di 547.853 studenti di istituti tecnici e professionali italiani diplomati dal 2012 al 2014. Il report propone una panoramica completa sulle transizioni dal ciclo di studi secondario al mercato del lavoro utilizzando i dati contenuti in due archivi: l’Anagrafe dello Studente del MIUR e le Comunicazioni Obbligatorie del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali che raccolgono informazioni sui rapporti di lavoro dipendente in Italia.

Rispetto alle prospettive per gli studenti di tecnici e professionali, poco più del 30% prosegue gli studi in università o nell’istruzione tecnica superiore mentre il restante 70% opta invece per un ingresso immediato nel mondo del lavoro.

Il report riporta che coloro che hanno optato per il mercato del lavoro non hanno trovato un contesto particolarmente favorevole e l’indice di occupazione post-diploma è pari al 40%. Di questi, più del 28% ha lavorato per più di sei mesi nei primi due anni post-diploma e il 14% ha svolto lavori saltuari. Uno su tre prosegue con gli studi e una percentuale considerevole (27.4%) non ha svolto nessun lavoro né si è iscritto all’università nei due anni post-diploma. Per quest’ultimo gruppo, si parla dunque di una popolazione che è in gran parte assimilabile alla categoria dei NEET: il bacino dei post tecnico-professionali è una popolazione ad alto rischio di cadere nella condizione di non studio e non lavoro.

In media i giovani diplomati hanno aspettato 263 giorni per ottenere un rapporto di lavoro significativo (quasi nove mesi) e la maggior parte dei diplomati non si è spostata oltre il comune di residenza o la provincia per trovare lavoro.

Tra gli occupati solo un terzo svolge un lavoro coerente con il titolo di studio, la metà dei diplomati deve accontentarsi di un lavoro qualsiasi, mentre il 14.4% svolge professioni trasversali accessibili anche con maturità di diverso tipo.

Tra i diplomati che lavorano, esattamente la metà raggiunge una posizione stabile entro i primi due anni dal diploma. La tipologia di contratti è mutata in linea con le riforme giuslavorative varate dal 2012 a oggi: con la legge Fornero (2012) vediamo un aumento dei contratti di apprendistato mentre con l’introduzione della decontribuzione prevista dal Jobs Act (2014) vediamo un aumento dei contratti a tempo indeterminato.

Tutti questi indici però presentano una forte variabilità territoriale mostrando notevole eterogeneità tra nord e sud e all’interno di macro-aree italiane (l’indice di occupazione oscilla dal 60.9% in Veneto al 22% in Campania).

In generale, le ragazze sono più svantaggiate rispetto ai ragazzi per qualità e quantità dell’occupazione (-3.5% di occupabilità) e lo stesso vale per i diplomati di cittadinanza non italiana (-7.8%) e per coloro che hanno concluso gli studi con qualche anno di ritardo (-2.3%).

Tra i segmenti di istruzione esaminati, il settore formativo che offre maggiori chance di occupazione e contratti più stabili è il corso professionale del settore Industria e Artigianato mentre il settore Servizi spicca per coerenza tra le professioni dei diplomati e le competenze acquisite durante il corso di studi.

Questi dati tracciano un quadro d’insieme molto complesso che evidenzia da un lato la difficoltà di fare previsioni sugli esiti occupazionali dei giovani diplomati italiani tra cinque anni e, dall’altro lato, un bisogno impellente ed emergente di servizi di orientamento di qualità, in grado di attivare processi culturali, di riflessione e di consapevolezza in grado di rafforzare le capacità di ogni studenti di costruire una propria individuale strategia di crescita professionale. L’impatto di cambiamenti normativi così come la congiuntura economica e del contesto territoriale giocano un ruolo fondamentale, ma al tempo stesso permangono meccanismi distorsivi nell’incontro tra la domanda e l’offerta di competenze professionali (skills mismatch) e forti ostacoli rispetto ad un accesso trasparente alle opportunità di studio e lavoro. Insieme al monitoraggio di queste variabili, sarà interessante valutare l’effetto dell’Alternanza scuola lavoro e l’impatto dell’introduzione di nuovi indirizzi professionali coerenti con i diversi ambiti del Made in Italy.

Se da una parte serve uno sguardo attento ai bisogni delle imprese e allo skills mismatch, dall’altra, ancora una volta, l’apprendimento permanente è e sarà lo strumento chiave per promuovere l’occupabilità. Serve lungimiranza e la consapevolezza che dovremo continuare a imparare per tutta la vita per “evitare che il lavoro per cui si è stati assunti oggi non esista più tra cinque anni”, scrive Andrea Gavosto, Direttore della Fondazione Agnelli. La scelta di un tecnico o di un professionale rischia di essere miope sia per le imprese che per gli studenti se non sarà affiancata da un sistema di formazione continua e permanente, che permetta a chi ha l’ambizione di trovare un’occupazione immediata di riuscire a mantenerla e a migliorare la propria professionalità nel tempo. È dunque fondamentale “darsi un orizzonte più lontano perché gli effetti della scelta potranno riguardare tutta la loro vita”, dice Gavosto.

Ricordiamo allora, ancora una volta, l’importanza del lifelong learning (apprendimento per tutto l’arco di vita) e delle competenze chiave per accedere al mondo del lavoro così come ricordiamo l’urgenza di un lavoro capillare per garantire a tutti un sistema di orientamento di qualità, in grado di promuovere la mobilità sociale, valorizzare i talenti e combattere i divari territoriali, di genere e legati alla storia personale.

È possibile accedere al report della Fondazione Agnelli attraverso questo link: http://www.fondazioneagnelli.it/2018/02/01/loccupazione-dei-diplomati-tecnici-professionali-2/?doing_wp_cron=1517825332.0358390808105468750000

I dati sulle iscrizioni sono disponibili a questo link: http://www.miur.gov.it/web/guest/-/iscrizioni-on-line-licei-ancora-in-crescita-li-sceglie-il-55-3-dei-ragazzi