Mobilità sociale e orientamento: l’ipoteca sul futuro comincia già dalla scuola.

E’ una società tutt’altro che “liquida” quella che emerge da una serie di nuovi dati pubblicati nelle ultime settimane. Se da una parte la parola chiave di questi tempi è “cambiamento”, che sia politico, culturale o economico, dall’altra il nuovo report dell’Ocse ci racconta che in Italia cambiare posizione sulla scala sociale è tutt’altro che facile. Siamo in un paese cristallizzato in gruppi sociali rigidi e la possibilità di scrivere un futuro diverso da quello dei propri genitori sembra un’impresa tutt’altro che facile. La mobilità sociale rappresenta il diritto di poter scegliere un lavoro in base alle proprie capacità e caratteristiche: si tratta di un valore garantito dalla nostra Costituzione (Articolo 4) e, nei fatti, dovrebbe essere promossa dalla scuola, in primis, e da un sistema diffuso e qualificato di orientamento che aiuti ogni cittadino a individuare le migliori opportunità per valorizzare le proprie capacità e i propri talenti. Ma è davvero così? 

In Italia, lo status economico dei genitori è altamente correlato a quello dei figli: quasi il 40% dei figli di lavoratori manuali diventa lavoratore manuale, il 31% dei figli con padri con basse retribuzioni rimane nella stessa fascia retributiva. É inoltre tutto italiano il record per il tasso più basso di mobilità sociale assoluta (percentuale di persone tra i 25 e i 64 anni in una classe sociale diversa da quella dei genitori). Questi dati si rispecchiano nelle percezioni della maggior parte dei giovani che considera l’ascesa sociale una sfida “molto difficile” (85% dei Millennials secondo il Rapporto sulla situazione sociale del Paese, CENSIS, 2016). 

L’ipoteca sul futuro inizia già a scuola in cui due terzi dei bambini di genitori con istruzione inferiore al ciclo superiore restano con lo stesso livello di istruzione, rispetto a una media Ocse del 42%. I nuovi dati di Almalaurea e Almadiploma 2018 descrivono lo stesso scenario di scarsa mobilità intergenerazionale e riportano che la posizione occupazionale dei genitori ha un peso sulla vita dei figli già a partire dalla scelta della scuola secondaria: solo l’8,7% degli studenti diplomati al liceo classico ha genitori che lavorano come operai o impiegati esecutivi mentre il 38% dei diplomati alle scuole professionali è rappresentato da questo gruppo. Solo il 13% degli studenti delle scuole professionali proviene da famiglie di classe sociale elevata.

Il ruolo del background scolastico e lavorativo dei genitori sul percorso scolastico dei figli continua ad avere un effetto anche sulle scelte post-diploma. L’84% dei diplomati provenienti da famiglie con almeno un genitore laureato ha deciso di iscriversi all’università e la percentuale scende al 65% tra i figli di genitori diplomati, al 46% tra quanti hanno padre e madre con un titolo di scuola dell’obbligo e al 41% tra i diplomati con genitori con al massimo licenza elementare. Percentuali simili sono descritte dal nuovo report sul welfare aziendale redatto da CENSIS in collaborazione con Eudaimon. 

Sembra dunque che accedano a titoli di studio più alti e proseguano la formazione più assiduamente quegli studenti che hanno alle spalle famiglie culturalmente più avvantaggiate e più attrezzate a sostenerli negli studi. 

Per non bastare, la stessa entrata nel mondo del lavoro è un esercizio ancora affidato prevalentemente alle relazioni e le istituzioni come i centri per l’impiego sono ancora poco conosciuti e valorizzati (ad oggi sono stati usati dal 4,7% dei laureati del 2011 che hanno trovato lavoro). Secondo l’ultimo report dell’ISTAT, i giovani tra i 15 e i 34 anni in cerca di un lavoro si rivolgono principalmente alla rete informale non istituzionale (90%) e a quella informale (85% contro un 40% che si rivolge a reti formali istituzionali).

Il problema della scarsa mobilità sociale coinvolge anche le probabilità individuali di mobilità lungo l’arco della vita (mobilità intragenerazionale) e il sistema scolastico sembra non promuovere il cambiamento ma piuttosto confermare le disuguaglianze. Il voto all’esame di licenza media seleziona rigidamente il percorso scolastico successivo dei ragazzi e la quota di studenti che scelgono il liceo aumenta al crescere del voto ottenuto. La selezione è rigidissima e, anche all’università, la scelta è segnata dal percorso di formazione iniziale. Nell’ultimo anno accademico si è immatricolato all’università il 73,8% dei liceali diplomati, il 33,1% dei ragazzi provenienti dagli istituti tecnici e l’11,3% di chi ha frequentato gli istituti professionali (Rapporto Fondazione Agnelli, febbraio 2018).